Come aggirare le licenze Uefa e fallire felici
di Marco Liguori e Salvatore Napolitano
Indispensabile Maastricht del calcio o semplice bolla di sapone? La discussione
sul significato delle licenze Uefa, il cui ottenimento è obbligatorio
per partecipare alle Coppe europee dalla prossima stagione, prosegue sotto
traccia. Ma i massimi dirigenti del calcio italiano sono in fibrillazione
perché la situazione dei conti è sempre più preoccupante.
Il Consiglio federale, che si sarebbe dovuto tenere ieri a Roma per decidere,
ancora una volta, sulle norme che regoleranno l'iscrizione ai campionati
2004-2005, è stato rinviato al 17 marzo su proposta della Lega
calcio di Milano: ammorbidire è la parola d'ordine.
A tal riguardo è utile ricordare che le regole più recenti,
varate lo scorso aprile, che avrebbero dovuto disciplinare l'ammissione
ai tornei attualmente in svolgimento, contenevano parametri più
rigidi. Ma furono tranquillamente disattese. Erano state introdotte come
contropartita al varo dell'ineffabile legge «spalma perdite»,
per dimostrare che il calcio aveva messo la testa a posto. Il calcolo
del nuovo parametro patrimonio netto contabile/attivo patrimoniale, che
non doveva essere inferiore a 0,50, avrebbe prodotto una carneficina:
nemmeno la Juventus, che pure stava meno peggio delle concorrenti, avrebbe
passato la prova con il suo 0,21. Figuriamoci le altre. L'introduzione
delle norme sarà procrastinata di un anno, fu detto. Vedremo il
17 marzo: ma il dubbio è lecito, per usare un eufemismo. A smuovere
ulteriormente le acque è stata martedì la proposta del presidente
del Coni, Gianni Petrucci: il titolo sportivo di chi fallisce resta nello
stesso campionato. E chi ha già pagato? Si arrangi. Detta così,
il piano sembra cozzare contro l'etica, contro la logica e contro il diritto.
E sembra pensata a pennello per continuare a violare le regole: indebitatevi
e fallite. Ma occorrerà attendere la versione definitiva prima
di poter esprimere dei giudizi compiuti.
E le licenze Uefa? Non si scappa, è l'Europa che ce lo chiede,
hanno esclamato i massimi dirigenti del pallone. Sarà proprio così?
Il manuale per il loro ottenimento consta di 94 pagine e spiega i criteri
sportivi, infrastrutturali, organizzativi, legali ed economico-finanziari
da rispettare per essere in regola. Quanto all'ultimo aspetto, questi
sono i punti: la revisione contabile del bilancio dell'esercizio precedente
alla richiesta di concessione della licenza, l'assenza di debiti scaduti
da trasferimento dei calciatori, e verso i dipendenti, ritenute e contributi
inclusi. Tutto a posto, dunque? Non proprio. Anzitutto, il giudizio di
primo grado sul raggiungimento dei requisiti sarà dato dalla Commissione
delle licenze entro il 10 aprile prossimo (e quello definitivo entro il
31 maggio al termine dei due eventuali gradi ulteriori): ma i giudici
di prima istanza sono, oltre a due esponenti esterni, tutti quelli della
Co.vi.soc., la commissione che vigila sulle società di calcio.
Per quali reconditi motivi essa, nota a tutti per agire con maglie larghe
nell'applicazione delle regole italiane, dovrebbe convertirsi al pugno
di ferro in Europa? Non solo. Chi ha fatto le regole all'Uefa ha sottovalutato
che l'Italia è il paese dei cavilli. Infatti, un codicillo stabilisce
che un debito scaduto «non costituisce diniego della licenza»
in tre casi. Due sono ovvi, e cioè il pagamento del debito entro
trenta giorni dalla data di scadenza oppure un accordo scritto con il
creditore per un'estensione dei termini di pagamento. Ma il terzo potrebbe
essere il classico salvataggio in extremis: «sono stati aperti procedimenti
e/o contenziosi presso organi amministrativi, giurisidizionali o arbitrali
dello Stato o delle istituzioni calcistiche nazionali o internazionali
sul debito scaduto». In parole povere, basta ricorrere alla giustizia
e opporsi al pagamento per far considerare non scaduto il debito ed essere
in regola. E pazienza se poi il giudizio darà torto alla società:
la licenza, nel frattempo, è stata ottenuta.
(Fonti:
www.ilmanifesto.it)
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